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Del Savio, Michela, "La 'silloge d'Ávalos': osservazioni sulla tradizione manoscritta e testuale dei trattati per la cura dei falconi attribuiti a Íñigo d'Ávalos", eHumanista/IVITRA, 16 (2019), 37-51.
- Resum
- Questo insieme di testi che abbiamo chiamato “silloge d'Àvalos” si comporta in modo singolare nel panorama dei testi di falconeria: non è un trattato dedicato a descrivere e conoscere le diverse specie di uccelli e le loro caratteristiche fisiche e di comportamento; non è un trattato dedicato all'addestramento dell'animale alla caccia; non è un trattato che descriva i differenti tipi di malattie che possono occorrere all'uccello, e nemmeno un ricettario che indichi le relative cure. Condivide con il trattato di veterinaria alcune caratteristiche, ma le interpreta a modo suo, in modo originale: la silloge rappresenta una piccola novità nel genere, diremmo un unicum, che prevede l'utilizzo e il rimaneggiamento di fonti provenienti da diverse tradizioni, e che mette in campo una buona dose di intervento della mente compilatrice, con inserzioni di materiale di raccordo e con un'attribuzione precisa a un personaggio eminente. L'originalità risiede inoltre anche nel carattere quasi “monografico”, con contenuti inerenti un solo tipo di malattia: un caso eccezionale nel genere. L'esistenza di due testimoni della silloge, l'uno, il palermitano, dotato di un testo più accurato e linguisticamente meno marcato localmente, l'altro, l'escurialense, latore di un testo più impreciso e linguisticamente meno tornito, porta a ipotizzare l'esistenza a monte di una redazione più “romanza” del testo. Conoscendo dagli inventari la presenza nella biblioteca di corte di più testi di falconeria in diverse lingue, possiamo dunque ipotizzare alla base della creazione della silloge un collage di porzioni di testi diversi riunite attorno al tema del “cancro” e poi tradotte (una delle quali tratta dal testo di Pedro Lopez de Ayala); le operazioni di scelta dei testi, del loro assemblaggio e traduzione, potrebbero essere state affidate a qualche personaggio conoscitore della biblioteca di corte e dei libri in essa contenuti. Dalla somma di questi interventi sarebbe risultata una lingua fortemente ibrida tra substrato dei testi di partenza e superstrato del compilatore e copista, fase di cui non abbiamo testimoni diretti ma per la quale possiamo ipotizzare l'esistenza di almeno un ms. già ordinato e in attesa di ricevere una decorazione (alcuni errori di Escorial, come l'esempio di vino per fumo riportato sopra, testimoniano come nel suo antecedente fossero previsti capilettera ancora non eseguiti). Da questa fase, materialmente perduta o non rintracciata, discenderebbe il manoscritto El Escorial, Real Biblioteca del Monasterio, ç IV 6, che, nonostante i numerosi errori, porta traccia di una fase linguistica del testo con esiti di coiné napoletana. Il manoscritto Palermo, Biblioteca centrale Regione Siciliana, XIV F 13 sarebbe invece testimone di una diversa traduzione del testo, avente come obiettivo l'eliminazione di tutti gli aspetti linguistici troppo locali della silloge di partenza, forse nell'intenzione di creare un testo più credibilmente attribuibile a un personaggio come Íñigo d'Ávalos. Il ms. palermitano sembrerebbe aver teso al riordino e all'impreziosimento anche dal un punto di vista della produzione materiale del manoscritto, non del tutto raggiunta per motivi o errori avvenuti in sede di copia o di legatura. L'attribuzione del testimone palermitano al copista Marco Cinico, o comunque allo scriptorium da lui supervisionato, permetterebbe di riconoscere nel ms., in linea con molti altri di cui l'attribuzione è certa, uno dei frutti del principale impegno del parmense, ossia la compilazione e traduzione di operette ad uso personale di re Ferrante. “Le raccolte librarie di Ferrante, sovrano tutto italiano e napoletano [ndr a differenza del padre, tutto iberico], furono caratterizzate da una intensa italianizzazione degli interessi e dei testi, che finì per ridurre ed eliminare l'antico plurilinguismo romanzo e le tracce mediterranee della presenza culturale iberica. [...] Essa continuava a essere presente e viva nella biblioteca di Ferrante almeno (anche se non soltanto) nell'ampia sezione delle opere di falconeria” (Petrucci 1988, 197). Mi pare plausibile dunque riconoscere nel palermitano un lavoro di rimaneggiamento compiuto da Cinico o dai suoi collaboratori, probabilmente su impulso o consegna di d'Ávalos, di un testo considerato troppo marcato localmente e dunque ritenuto non adatto a portare il nome del conte.
- Matèries
- Veterinària - Falconeria i caça
Manuscrits Fonts Italià
- URL
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